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Attualità

Quattro chiacchiere con… Stefano Mazzi, di Acquasport

Il responsabile del Laboratorio uno dei fiori all’occhiello di Acquasport

Acquasport di Grosseto non ha certo bisogno di presentazioni. E’ una delle realtà più conosciute e apprezzate in Italia ed è in grado di offrire davvero un servizio a 360 gradi! Ne abbiamo parlato con uno dei titolari, Stefano Mazzi.

Allora Stefano, il mercato è ripartito. Siamo tornati ai tempi prepandemia?

«Direi di no. Mi spiego meglio. Durante la pandemia, quando tutto era chiuso, noi abbiamo potuto rimanere aperti con l’online poiché siamo un negozio di articoli di prima necessità, a cominciare dall’agricoltura. Ecco perché in pandemia abbiamo lavorato più che ora; infatti, nei due anni di covid il fatturato è cresciuto, mentre questa stagione stiamo registrando un piccolo calo».

La vendita in negozio tiene sempre. Qual è il motivo?

«Non saprei dire il motivo, ma è così. Certo, la pesca continua ad andare bene, mentre il settore Ara fatica di più. Ci sono pochi corsi, i viaggi in posti come Maldive e Mar Rosso sono rimasti chiusi a lunghi e ciò ha influito negativamente sul mercato».

Il pescatore tipo si sta evolvendo? Se sì, in che modo?

«Sì, è cambiato abbastanza. Ora con i social l’appassionato sa magari più cose teoriche, però è meno preparato. Parla a volte per sentito dire ma gli manca l’esperienza sul campo. Insomma, se vogliamo dirla con una battuta, tutti professori, peccato che l’acqua sia un’altra cosa…».

Parliamo di novità. Cosa bolle in pentola in casa Acquasport?

«Intanto, noi non ci fermiamo mai. Siamo sempre alla ricerca di cose nuove, studiamo il mercato, le tendenze e cerchiamo di “cambiare pelle” in base a ciò che ci succede attorno. Da sempre puntiamo sulla professionalità, ci avvaliamo di tanti istruttori sia di pesca che di apnea e, soprattutto, investiamo tempo e denaro nel nostro laboratorio. E’ fondamentale, senza non ci potrebbe essere Acquasport. E poi abbiamo una cura maniacale verso il cliente, non lo abbandoniamo mai. Non basta infatti vendere una muta e un fucile, occorre saper fare tutto un lavoro di post vendita che è importantissimo. Chi viene da noi non si sentirà mai trascurato. Cerchiamo di accontentarlo in tutto. Ecco, questo è il vero segreto che ti permette di stare sul mercato a lungo»

Pesca e apnea pura: in termini di fatturato quali sono le proporzioni di vendita?

«Domanda difficile. Non saprei. Certo, la pesca è sempre predominante anche se l’apnea è in continua crescita. Qui, soprattutto d’estate, la gente va in mare per pescare e quindi compra tanti fucili».

Lo scorso giugno ci sono stati gli Assoluti aperti alle donne e prima era stata la volta dei Mondiali di Arbatax. Pensi che la pesca al femminile possa ritagliarsi uno spazio interessante sotto l’aspetto economico?

«Farei un discorso diverso, anche a costo di risultare impopolare. Secondo me le gare in generale non hanno senso di esistere; siamo in un mondo che va verso il green, verso la sostenibilità, sempre più persone sono vegane e diventa sempre più complicato giustificare agli occhi della gente comune l’esistenza di una gara di pesca in apnea. Noi sappiamo i sacrifici che servono, ma gli altri no e non lo condividono. E poi l’indotto che muovono è minuscolo. Basti pensare a un Mondiale. Quanti atleti c’erano? 80, 90, forse 100. Un’inezia. Da anni partecipo a gare di tiro con l’arco, ebbene ogni competizione internazionale è un evento con migliaia di persone. Come se fosse il nostro Eudi. Senza tralasciare che non sono s’accordo sulla piega che l’agonismo sta prendendo. Vince chi scende nell’abisso, la preparazione e quant’altro costano un sacco di soldi e il risultato è che ci partecipano in pochi e, spesso, non c’è ricambio; sono sempre i soliti nomi. E anche i nostri “cugini” cannisti sono messi meglio di noi; loro il pesce comunque lo rilasciano e sono riusciti con questo a dare un’immagine all’esterno molto diversa».

Fucili: quali sono le tendenze del momento?

«Ora tanti guardano verso i roller e gli inverter. Vanno molto gli artigiani di alto livello, che sono una nicchia ma occupano comunque una fetta importante di mercato; un settore che sarebbe impossibile da gestire per un’azienda grossa. In generale, gli arbalete sono sempre al top: attualmente ci sono tantissimi accessori per poter personalizzare i propri fucili tra gomme, aste e quant’altro, così che ognuno è in grado di personalizzarlo come meglio crede. Noi infatti, in Acquasport, ci siamo dotati di strumenti per misurare l’allungamento delle gomme, di dinamometri per calcolare la forza del grilletto proprio per andare incontro a tali esigenze, che sono sempre più sentite».

3 cose per far fare al nostro settore un balzo in avanti?

«Riassumerei la cosa in una parola: fare sistema. Da soli non andiamo da nessuna parte. Ultimamente avevo provato a pensare a un piccolo progetto. Creare delle zone di ripopolamento e farle monitorare dai pescatori; si buttavano ad esempio avannotti di spigole in una determinata zona da chiudere, così da proteggerla ma che potesse fungere da polmone per i tratti limitrofi. Poi, la burocrazia come sempre ha complicato le cose. Ho detto questo perché dovremmo metterci tutti assieme, professionisti e aziende e fare qualcosa per il bene del mare. Bisogna creare l’interesse, altrimenti la gente decide di fare altro. Se non c’è la neve non vai a sciare, qui è uguale; se il pesce è sempre più raro, sempre più profondo, l’appassionato si stufa e lascia muta e fucile in garage. Però, per ottenere dei risultati dobbiamo cambiare mentalità, non si può lavorare e ragionare a compartimenti stagni perché non si va da nessuna parte. Servono dei tavoli, incontrarci tra le varie categorie e trovare idee che servano a migliorare il nostro mare».

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