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Santa Marinella e dintorni

Sono all’aspetto davanti a un muro di cefali o a una pallonata di grossi saraghi e, un paio d’ore dopo, tolta la muta e riposto il fucile, sto ammirando i tanti resti di epoca Romana presenti nei paraggi. Un mix di pesca e di cultura che solo in questa parte del nord del Lazio è possibile fare di Gherardo Zei

Prima le cose spiacevoli. Negli ultimi vent’anni il Comune di Santa Marinella ha cambiato tante amministrazioni, ma il risultato non è cambiato: nuove costruzioni private tipo alveare, opere pubbliche importanti realizzate in tempi biblici, lavori di ammodernamento e riqualificazione esteticamente peggiorativi e non all’altezza della storia della città, servizio di nettezza urbana “porta a porta” organizzato in modo tale che molti non possono praticamente fruirne, e tutto questo mentre le incomparabili ricchezze storiche e architettoniche della città, e in particolare le antiche vestigia Romane, sono state lasciate nell’abbandono.

Ma nonostante tutto ciò Santa Marinella è un posto talmente straordinario che il suo fascino è riuscito a resistere, fino a oggi, grazie alla sua storia trimillenaria, alla bellezza e alla ricchezza del suo mare, alla magia selvaggiamente lussureggiante del suo entroterra e alla buona volontà di tanti privati che si sono prodigati per conservare le caratteristiche palafitte e le splendide ville liberty e “anni cinquanta”. Sulle amministrazioni comunali, invece, è meglio lasciar perdere…

Perché non esiste un altro posto come Santa Marinella?

Non stiamo parlando di una località da “effetti speciali” e i suoi malinconici paesaggi invernali di grotto sono roba da veri intenditori del mare. Ma per il resto sono dati di fatto oggettivi.

Infatti, il suo grotto meraviglioso si estende, a profondità accessibili, fino ad alcune miglia dalla costa, determinando una vastissima zona pescabile e dando luogo a un fondale di una vitalità e biodiversità straordinaria. Il suo entroterra selvaggio e non antropizzato, che arriva fino a Bracciano e a Tolfa, è del tutto unico; i cacciatori terrestri lo possono testimoniarne. Inoltre, a Santa Marinella vi sono spiaggie attrezzata allo stesso modo in cui si può accedere ad arenili selvaggi e solitari (andando verso Santa Severa). Se, poi, ci si spinge a nord, oltre Civitavecchia, i porti finiscono e il litorale sabbioso (Sant’Agostino, Tarquinia, Montalto) assomiglia a quelli spopolati di certe zone del sud della Penisola, con la significativa differenza che da noi, a circa duecento metri dalla costa, finisce la sabbia e comincia una sterminata distesa di grotto, vecchio di migliaia di anni (con panettoni oltre i cinque metri) e sempre ben popolato.

Ecco, proprio le migliaia di anni sono la chiave per capire questo litorale. Infatti, a Santa Marinella tutto quello che si tocca è un pezzo di storia. Popolata già dagli Etruschi, è stata una meta del turismo di elite a partire dall’epoca Romana antica e fino a tutti gli anni Sessanta (mentre adesso è considerata una meta popolare). Circa tremila anni di storia hanno lasciato un segno indelebile e ogni pescatore subacqueo del nostro litorale sa che imbattersi a terra o in acqua in vestigia, ruderi e reliquie del mondo antico è una cosa del tutto normale. Tanto che molti non ci fanno nemmeno caso, ma io subisco da vent’anni il fascino di questo posto meraviglioso, dove ci si spoglia per entrare in acqua sedendosi sui ruderi di ville Patrizie o si indossano le pinne sui gradini di una banchina di un porto Romano.

Da queste parti, i posti più comuni dove immergersi hanno qualche meraviglia storica, architettonica o culturale da vedere e non basterebbe un libro per descriverle tutte. Per questo mi limiterò a fare insieme a voi una rapida carrellata di ciò che reputo più interessante e che può essere visitato tra una pescata e l’altra.

Un posto facile

Per scarrellare il gommone c’è uno scivolo gratuito a Capo Linaro, chiamato lo “scivolo di Frinchillucci”, anche se sull’insegna c’è un altro nome. E’ vicino al centro e alle principali zone di pesca e, inoltre, parcheggiare nelle vicinanze non è difficile. La stessa stazione ferroviaria è nei pressi al punto che, volendo, si può scendere dal treno con il borsone, percorrere circa trecento metri a piedi e raggiungere la spiaggia sotto al Gigi Bar, dove in inverno e nel fuori stagione ci si butta in acqua (nella stagione balneare, invece, lo sconsiglio perché si tratta della principale spiaggia attrezzata di Santa Marinella).

La Peschiera delle Grottacce

Le antiche ville Romane costellavano l’intero litorale e ancora oggi si possono vedere a terra i ruderi. Se si prosegue in direzione nord, dopo l’uscita autostradale di Santa Marinella/Santa Severa e ci si ferma sulla prima piazzola dell’Aurelia, ecco che si può scendere a pescare partendo dalla sottostante piccola spiaggia. Ci troviamo nella località Grottacce, esattamente sopra i ruderi di una splendida villa Romana, che risale al I-II secolo d.C. ed è una delle tante villae maritimae disseminate lungo il litorale.

Questo tipo di residenze si diffuse in epoca imperiale ed era considerato dai contemporanei quasi una stravaganza. Ville come queste erano concepite per sfruttare le risorse marine ed erano dotate di un approdo e di una peschiera per l’allevamento in mare del pesce (e infatti sott’acqua è facile imbattersi in mura di peschiere Romane, tra cui quella straordinaria di Punta delle Vipere).

Come accennavamo, la vocazione marina delle ville risultava inconsueta secondo gli standard degli economisti dell’epoca, i quali le consideravano un cattivo investimento rispetto alla tradizionale villa rustica, che rendeva di più grazie all’agricoltura e all’allevamento. In particolare, la villa delle Grottacce era dotata di una grande peschiera di forma semicircolare, con un raggio di circa 40 metri. Alcuni studiosi, tuttavia, ritengono che lo scopo di queste “peschiere di villa” non sarebbe stato quello di produrre per vendere ma solo essenzialmente quello di approvvigionare di pesce fresco il padrone della villa e i suoi invitati e di offrire loro divertimento con la vista ravvicinata dei pesci nell’acqua della vasca.

Le strutture della peschiera sono oggi sommerse dall’acqua e riempiono di bellezza gli occhi del pescatore che viene da queste parti. La zona offre essenzialmente cefali a ottobre e spigole (ma bisogna fare l’alba) a dicembre/gennaio, saraghi a febbraio e orate a maggio. Poi, in piena stagione balneare, meglio non venirci più, almeno fino a settembre, perché è uno dei punti preferiti di ancoraggio dei diportisti estivi.

Il Castello Odescalchi e i ponti

Il Castello si erge in un luogo già noto nell’antichità per le sue caratteristiche strategiche, paesaggistiche e naturali, e dove ancora oggi è, infatti, situato il porto di Santa Marinella, comunemente chiamato “il porticciolo” per distinguerlo da quello più grande di Riva di Traiano. Per gli etruschi, la rada era uno scalo per le merci provenienti da Cartagine, in seguito i Romani vi si insediarono dandole il nome di Punicum e vi edificarono una lussuosa villa marittima appartenuta al grande giureconsulto Ulpiano. Dopo la caduta dell’Impero Romano, fu eretta l’imponente torre normanna (XII secolo), tuttora esistente, allo scopo di proteggere il litorale dalle incursioni piratesche.

Alla fine del XVI secolo, la torre d’avvistamento fu circondata da alte mura collegate da torrette circolari, assumendo così l’aspetto di un vero e proprio castello. Sotto il pontificato di Urbano VIII, il Castello divenne di proprietà della famiglia Barberini che lo ampliò con un robusto e gradevole palazzo. Nel 1773 il castello e la tenuta circostante passarono all’Ospedale di Santo Spirito e da quest’ultimo furono acquistati, nel 1887, dal principe Baldassarre Odescalchi, avo degli attuali proprietari.

Sempre in corrispondenza del “porticciolo”, si può ammirare lo splendido Ponte Romano di Via Roma, del secondo secolo dopo cristo. Il ponte è ancora intero, anche se seminascosto in mezzo alle sterpaglie e a qualche cartaccia abbandonata.

Con gli occhi ancora pieni di tanta bellezza, ci si butta a poche decina di metri di distanza, subito a nord del porticciolo, dove esistono alcune tane mastre di saraghi e corvine e, ancora oggi, alcune cernie sopravvivono protette da tane complicate ma anche dal fatto che questa zona si trova non lontano dal porticciolo e abbastanza sulla traiettoria delle imbarcazioni in entrata e in uscita. Bisogna quindi prestare molta attenzione, in particolare nella stagione estiva. A terra si prendono cefali e spigole, pesci che, però, sono essenzialmente presenti negli ultimi tre mesi dell’anno. Mentre in novembre e in maggio entrano le orate sulla prima punta in direzione nord, subito fuori dall’antemurale del porto.


Le ville Liberty e via Ulpiano

Santa Marinella è anche famosa per le sue splendide ville liberty, stile architettonico diffusosi tra la fine del 1800 e il primo ventennio del ‘900 in tutta Europa e, ancora oggi, decine di queste ville, molto ben curate dai proprietari, costituiscono un patrimonio prezioso, insieme con i numerosi esempi di architettura più moderna e ardita degli anni Cinquanta.

La via Ulpiano, subito a nord del porticciolo, è il luogo dove si possono trovare alcune delle più belle e antiche ville liberty. Giusto al centro della via, esiste una “terrazza a mare”, dotata di una suggestiva scalinata, dalla quale è semplice immergersi e spaziare davanti alla spiaggia di Santa Marinella per arrivare fino alla zona posta davanti agli storici alberghi delle Naiadi e delle Palme. Proprio davanti ai due alberghi, da circa una decina d’anni è stata posta una soffolta a protezione della costa che, nei primi due o tre anni dalla sua “gettata” si era riempita di pesce, ma dopo il posto è diventato noto a troppi e le catture sono scese di numero e di qualità.

Il fondale esterno è interessante, in particolare in corrispondenza della parte esterna della spiaggia nuotano grosse mormore, pesce altrove quasi inesistente a Santa Marinella.

Le Palafitte e la passeggiata

Continuando ancora verso nord, s’incontra l’altro storico albergo dell’ultimo periodo d’oro del turismo, il Cavalluccio Marino. Circa cinquecento metri verso il largo rispetto all’hotel, c’è l’omonima secca; è molto interessante in quanto si tratta di uno dei pochissimi punti di tutto il litorale in cui il grotto cede il posto alla roccia bianca. Il posto sarebbe pescosissimo se non fosse uno dei più conosciuti del Lazio Nord e costantemente “presidiato” da almeno due barche di pescatori con la canna. Qui incrociano pure i pelagici e la zona è famosa per le orate in novembre e i dentici in primavera. I saraghi, sempre presenti, sono decisamente laureati…

Subito dopo ecco il lungomare denominato “la passeggiata”, con la sua serie di caratteristiche palafitte (l’altro gruppo di palafitte importanti è situato subito dopo Capo Linaro). Si tratta di caratteristiche costruzioni in legno (normalmente dipinte nei colori bianco e blu) che fungono da cabina a mare con pontile e discesa in acqua dedicata. Sono elementi di una suggestiva tradizione locale oltre a essere molto belle da vedere.

Pensate che ogni anno, in primavera, vengono sottoposte a un’importante manutenzione in quanto il mare invernale inevitabilmente le danneggia. Pensate che la storia delle palafitte a Santa Marinella, le cui cabine di legno colorato sono ormai uno dei simboli di questa città, è stata spesso oggetto di pubblicazione, tra le quali quella di Arianna Caroli, che le ha portate all’attenzione del mondo intero nel suo libro On the way, pubblicato a New York nel 2001.

Davanti alle palafitte della passeggiata si pesca bene nelle mezze stagioni, in particolare durante le scadute repentine di mare, quando si avvicinano a terra i saraghi e, a volte, anche spigole da record. E per chi fa l’alba ci può essere il regalo di qualche bella seppia. Mentre la zona posta più a nord, davanti alle palafitte situate alla fine di Capo Linaro, è famosa per le grosse spigole isolate. Ci vuole pazienza e costanza, ma tenete a mente che di branzini super alle palafitte di Capo Linaro ne sono stati presi negli anni davvero tanti.

Torre Chiaruccia e Capo Linaro

Proseguendo verso nord si arriva a Capo Linaro, la cui via litoranea si chiama “lungomare Guglielmo Marconi”, e non a caso. Perché qui il grande scienziato ha effettuato i suoi esperimenti in una torre cinquecentesca (Torre Chiaruccia), che è andata distrutta durante la guerra (oggi al posto della torre esiste una stazione meteorologica militare).

Torre Chiaruccia era una costruzione in muratura alta circa venti metri e fu costruita nel XVI secolo, per l’avvistamento delle navi dei saraceni, in una zona adiacente le antiche rovine dell’insediamento Romano di Castrum Novum. La torre sarebbe rimasta soltanto una delle tante realizzate lungo il litorale del Tirreno, se non fosse stato che la zona divenne sede del centro sperimentale radioelettrico di Guglielmo Marconi. Qui, tra il 1930 e il 1937, lo scienziato portò a termine la sua avventura. Nello sperimentare la trasmissione radio tra Santa Marinella e varie località, capì che le onde corte (microonde) con frequenza di 500 MHz (Uhf) erano meglio trasmesse delle altre perché riflesse dalla ionosfera e, nello sperimentare tali microonde tra Torre Chiaruccia e Castel Gandolfo, arrivò a intuire l’utilizzo di queste come Radar (Radio Detecting and Ranging), aprendo per primo la strada verso l’attuale mondo delle comunicazioni.

Parliamo adesso di Capo Linaro sotto l’aspetto subacqueo. Si tratta di un posto universalmente noto dove, sulle cigliate esterne, si possono ancora incontrare grandi cernie, dentici, corvine, pallonate di saraghi; di tutto, insomma. La zona è molto grande e la profondità mai proibitiva. Il pesce è comunque parecchio smaliziato, ma abbondante per chi lo sa trovare.

Personalmente frequento poco Capo Linaro (e, nel caso, esclusivamente le parti a terra) poiché si tratta di un tratto pericoloso per il traffico nautico in quanto è la punta più estesa verso il largo di tutto il litorale nord di Roma e molte imbarcazioni tendono a rasentarlo a poche centinaia di metri, anche involontariamente, per il semplice fatto che non hanno tenuto conto del profilo della costa.

Castrum Novum e Baia di Ponente

Subito dopo Capo Linaro inizia la grande Baia di Ponente, che altro non è se non l’antico porto romano di Castrum Novum, un luogo ottimo per pescare e di un fascino straordinario. Fu una colonia marittima Romana, fondata nel 264 a.C., a difesa della costa settentrionale del territorio ceretano; e forse ripopolata sotto Cesare, poiché viene ricordata nelle sue iscrizioni come Colonia Iulia Castronovana.
Posta sul mare al Km 64 della via Aurelia, tra Torre Chiaruccia e il Casale Alibrandi, aveva una pianta rettangolare, a castrum, circondata da mura, come la Pyrgi Romana.
Si calcola che la sua estensione doveva raggiungere circa dodici ettari.
Proprio davanti allo stabilimento balneare di Baia di Ponente, ci sono gli scavi a cielo aperto di una imponente villa Romana che faceva parte del comprensorio di Castrum Novum.

Prima di entrare in acqua vi consiglio di attraversare l’Aurelia e andarli a vedere: sono molto belli ed emozionanti. Poi immergetevi a Baia di Ponente, uno degli altri posti meravigliosi del nostro litorale, famoso per le corvine, i saraghi e, soprattutto, per i dentici, anche di grandi dimensioni e anche in pochissima acqua (quattro o cinque metri per intenderci). Nella parte più al largo incrociano i pelagici (sono state prese perfino le palamite).

Anche Baia di Ponente è parecchio esposta al traffico nautico, quindi attenzione.

La Peschiera di Punta delle Vipere

La punta successiva a Capo Linaro è interessante per pescare e ci si trova inoltre al cospetto di uno dei reperti archeologici più grandi e meravigliosi del nostro litorale: la Peschiera. Pensate che nei primi periodi che frequentavo questo posto, non capivo nemmeno cosa fossero questi muri sommersi che si vedevano sul fondale e mai avrei pensato che fossero reperti di epoca Romana.

Ci troviamo all’altezza del km 66 della via Aurelia, in località Punta delle Vipere, a Santa Marinella, e proprio qui è riconoscibile, già da terra, il profilo della grande Peschiera. La struttura è tutto sommato in buone condizioni ed è costruita su banchi di pietra forte, in parte affioranti sul livello del mare. Si tratta, per parola stessa degli studiosi specialisti, di uno dei più completi e interessanti esempi di peschiera Romana visibili lungo l’intero litorale tirrenico a nord di Roma.

La Peschiera di Punta delle Vipere è costituita da un bacino rettangolare, lungo 48 metri e largo 30, difeso dal mare da un molo frangiflutti costituito da tre bracci ortogonali spessi circa tre metri. L’impianto, destinato all’allevamento di pesci e molluschi, costruito forse alla fine del I secolo a.C., si articola in diverse vasche rettangolari distribuite attorno a un grande bacino circolare di oltre venti metri di diametro.

La possente struttura è costruita in cementizio, a eccezione degli archi di collegamento tra le vasche e della parete esterna della vasca centrale, che sono in laterizi. La profondità interna delle vasche in alcuni punti raggiunge i due metri, ma probabilmente in passato doveva essere maggiore. Si conservano inoltre tracce delle aperture e degli apprestamenti idraulici che distribuivano le acque nell’allevamento e ne regolavano il deflusso. Tre lunghi canali sottomarini, che si dipartono dal lato rivolto al mare, assicuravano l’alimentazione dell’impianto, la costante purificazione dell’acqua e l’equilibrio della temperatura ambientale delle vasche. Verso terra, tra le rocce del litorale, si dipartono dagli angoli del lato orientale della peschiera, due sacche simmetriche, di cui restano ancora molte tracce, forse a uso delle murene. La peschiera era controllata da una villa marittima situata nell’immediato entroterra, in un’area oggi purtroppo completamente edificata.

Esistono foto aree della peschiera (scattate in giornate di acqua limpida) che danno un’idea complessiva dell’imponenza e della bellezza dell’opera e che fanno rimanere letteralmente a bocca aperta all’idea di avere il privilegio di poter pescare praticamente dentro un’opera d’arte. Infatti, qui ci si può immergere, eccome. Per quanto mi riguarda, ci sono venuto spesso, in particolare negli anni Novanta.

Quello di Punta delle Vipere è un fondale assai bello, dove si possono incontrare saraghi, corvine e, nella stagione giusta (aprile e maggio), anche tordi di inusitata grandezza: sia verdoni che marvizzi verdi o ciliegia. I cefaloni, poi, capitare talvolta in zona. Nella parte centrale, dove si trova una grossa prateria di posidonia, una volta ho catturato un coccio (comunemente chiamato gallinella) di circa tre chili, una cattura veramente inusuale. Il pesce stava fermo sopra la posidonia ondeggiante con le pinne addominali aperte, tonde e blu, come se fossero delle basi che lo facevano appoggiare al la posidonia, quasi quest’ultima avesse una sua consistenza, che invece non aveva.

La Foce del Marangone

Subito a nord di Punta delle Vipere e subito prima del porto di Riva di Traiano, si trova la foce del fiume Marangone, che segna il confine tra il territorio di Santa Marinella e quello di Civitavecchia. Vicino alla foce, a sud, si sono trovati i resti di un piccolo tempio etrusco extraurbano che esistette dal VI al IV secolo a.C. E sempre nelle vicinanze della foce ci sono i resti di un altro santuario, molto più importante, presumibilmente fondato attorno al 540-530 a.C. e che esistette, fra alterne vicende, fino al I secolo a.C.

Per quanto riguarda la pesca, parliamo di una zona interessante e popolata di cefali e saraghi già a terra, mentre fuori, sulla linea di cigliata, incrocia di tutto. Purtroppo, la vicinanza con il porto di Riva di Traiano rende il posto pericoloso a causa della imperizia dei diportisti; proprio qui c’è stato l’ultimo incidente mortale che ha coinvolto un pescatore colpito dalle eliche di un motoscafo nonostante fosse regolarmente segnalato.

La Frasca e Tarquinia

Qui, al Marangone, finisce verso nord il territorio di Santa Marinella e anche il nostro itinerario di cultura e pesca, ma non finisce, purtuttavia, la bellezza di un litorale unico al mondo. I ruderi degli insediamenti Romani continuano verso nord e, laddove non sono stati distrutti, costruzioni in terra o in mare possono essere sempre visti o perlomeno intuiti.

Durante la nostra pescata, infatti, non è raro individuare di tanto in tanto frammenti di coccio o terracotta antichi. Come non ricordare, poi, che esiste un punto davanti al litorale della Frasca di Civitavecchia dove ci si trova al cospetto di un’area il cui fondale è letteralmente tappezzato di cocci presumibilmente antichi (negli anni ne ho raccontato spesso e quel posto l’ho sempre chiamato “ il naufragio”, pensando al risultato di una antica tempesta). Ebbene, alcuni anni fa a terra, esattamente in corrispondenza del “naufragio”, è comparso improvvisamente uno scavo archeologico, dunque non mi sbagliavo: sul posto c’era una villa Romana o comunque un insediamento.

Poi a Tarquinia, in località Le Saline, c’è addirittura un pezzo di porto antico con un pezzo di banchina e di muretto molto ben conservati e, tra i sassi, centinaia di pezzi di marmo bianco, del tutto estranei alla roccia di quelle zone, ed evidentemente portati all’epoca per abbellire le infrastrutture portuali. E tenente conto che anche la Frasca e Le Saline di Tarquinia sono ottimi per pescare. Se pensate che al porto Romano delle saline si possono indossare le pinne stando seduti sui gradini originali della banchina, vi rendete conto che la sindrome di Stendhal è inevitabile.

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